Il dialogo passa attraverso la letteratura. È quanto ha illustrato la nostra socia Bianca Garavelli nella riunione del 5 marzo 2009, raccontando la sua esperienza a Gerusalemme in occasione del Convegno "La letteratura e l'impegno. Dialoghi italo-israeliani" che si è tenuto nella città israeliana dal 25 al 27 novembre 2008 e a cui era stata invitata come rappresentante degli scrittori italiani. L'incontro su questa esperienza straordinaria avrebbe dovuto svolgersi lo scorso 8 gennaio, ma la riunione è stata sospesa a causa dell'abbondante nevicata. Giovedì 5 marzo il temo è un po' più clemente, piove solo a dirotto, e la serata si apre con l'inno nazionale israeliano, eseguito dal vivo da Cinzia Bauci, contralto, e da Pierantonio Gallesi alla fisarmonica, insieme nella vita come moglie e marito e nell'arte come duo "Miriam ed Eleazar", che esegue canzoni e scene del repertorio dei klezmorim, i cantastorie ebrei originari dell'Europa centro-orientale. L'esecuzione, grazie alla bravura dei due artisti, entrambi ottimi attori oltre che esperti di canto e musica, suscita grande emozione e fa entrare piacevolmente nel clima della relazione.
«Non è esperienza di tutti i giorni vedere due Presidenti aprire i lavori di un convegno letterario», racconta quindi Bianca Garavelli. «È accaduto alla Fondazione Van Leer di Gerusalemme, modernissimo centro attrezzato per mostre ed eventi culturali, per la grande kermesse di scrittori italiani e israeliani voluta dall'Istituto Italiano di Cultura di Tel Aviv, e organizzata dalla direttrice Simonetta Della Seta, con l'addetto culturale Angelo Gioè. Il convegno avrebbe dovuto svolgersi a Tel Aviv, la sede dell'Istituto stesso, ma in onore della visita di stato in Israele del nostro Presidente Napoletano è stato spostato a Gerusalemme. Ecco dunque due Presidenti parlare nel primo giorno dei lavori.
Una sorpresa il discorso di Shimon Peres, lettore di Elsa Morante, Alberto Moravia e Primo Levi, definiti "picchi di letteratura ebraica nella grande letteratura italiana"; e quello di Giorgio Napolitano, per il quale lo scrittore israeliano David Grossman dimostra come "la letteratura, quando dà il meglio di sé, ci rende partecipi di vicende anche lontane". Un convegno che ha visto a confronto, in diversi panels collegati dal filo conduttore dell'impegno, sessanta tra i più significativi scrittori del nostro paese e di Israele. E che ha avuto come teatro eccezionale la città più sacra del mondo, Gerusalemme la città delle tre religioni, che gli scrittori italiani hanno potuto in parte visitare prima dell'apertura dei lavori. E non poteva avere che questo sfondo, ancora sereno almeno in apparenza, prima che scoppiasse la guerra a Gaza: Gerusalemme è oggi più che mai il simbolo di ogni speranza di dialogo e pace.
Giulio Ferroni, docente di Letteratura Italiana all'Università La Sapienza di Roma, ha parlato per primo fra gli scrittori, tracciando il percorso della nostra letteratura, che parte naturalmente da Dante, modello finora inarrivabile di una scrittura che fa sempre i conti con la realtà (ma a cui è stato preferito il modello di Petrarca, di una letteratura che basta a se stessa). Ferroni ha fatto da contrappunto a un passionale Nissim Calderon dell'Università Ben Gurion del Negev, che ha insistito sul ruolo centrale dell'impegno nella letteratura israeliana. Ma dialoghi veri e propri, di altissimo interesse, sono stati quelli fra Claudio Magris e Abraham Yehoshua, e poi Sergio Givone, Ascanio Celestini, un accostamento in apparenza improbabile ma riuscito, e lo scrittore-psicologo Meir Shalev; poi quello conclusivo fra David Grossman e Susanna Tamaro, forse l'evento culmine del convegno, che si è svolto all'Università Ebraica di Gerusalemme il 27 novembre.
Il tema del confine nel convegno si intreccia con quello della responsabilità: Yehoshua esprime con veemenza la sua idea forte di un confine grazie al quale "essere responsabili" di ciò che vi è contenuto, anche dei Palestinesi nel caso di Israele. Un'idea di unione nazionale che è reazione alla Shoah, che "non sarebbe stata così facile se gli Ebrei avessero avuto i loro confini", ma anche autentico progetto di pace e di convivenza. Il filosofo-narratore Givone ammonisce che per non autoingannarsi occorre fare attenzione all'intonazione con cui si usano le parole; Celestini racconta come è sempre partito da ciò che conosce bene, dall' "aristocrazia operaia" di casa sua al lavoro precario di oggi. Shalev preferisce a "israeliano" l'aggettivo "ebraico", perché di origine biblica e non semplice "strumento per il presente". Dal presente della cronaca al presente dell'interiorità, non meno forte, passano Grossman e Tamaro, mostrando insospettate affinità: per entrambi la letteratura è energia vitale, che a Grossman ha ridato il gusto per la vita dopo la tragica perdita del figlio.»
Subito dopo il suo, per ragioni di tempo, sintetico resoconto, Bianca Garavelli dà nuovamente la parola a Cinzia Bauci, che aggiunge alcune interessanti osservazioni su come la lingua ebraica, in quanto non più parlata per quasi duemila anni e rinata nella seconda metà del Novecento, sia stata uno degli strumenti più importanti per l'unità del nuovo stato di Israele, dunque anche attraverso la sua letteratura: ecco spiegato perché in generale gli scrittori israeliani sono spesso passionali e veementi nella loro esposizione. Quindi l'attrice cantante recita prima in italiano, poi in ebraico, la poesia "Cosa più solca il mio ricordo" del poeta israeliano Miron Izakson, che ha donato la sua raccolta di prossima pubblicazione in traduzione italiana a Bianca Garavelli durante il convegno di Gerusalemme. Quindi la serata si conclude con l'esecuzione di un'altra canzone struggente, famosa per chi ama la città delle tre religioni, "Gerusalemme d'oro, di rame e di luce", da parte del duo "Miriam ed Eleazar", cioè Bauci e Gallesi, che regala un'altra intensa emozione ai partecipanti.
(Ufficio stampa R.C. Cairoli)